Pionieri dell'Anatomia Umana a Palermo
Giuseppe Levi (1872-1965)
Nato a Trieste, studiò medicina a Firenze, laureandosi nel 1895. Entrò quindi come assistente nella clinica psichiatrica San Salvi, dove rimase per un triennio collaborando con il neuropatologo Ernesto Lugaro. Già in questo periodo pubblicò originali ricerche sull’istofisiologia delle cellule nervose, anche se il significato dei suoi risultati sui costituenti dei neuroni e sul volume del pericario dei grandi neuroni venne compreso solo molti anni dopo. Nel 1899 trascorse un anno a Berlino con Oskar Hertwig e l’anno successivo entrò nell’Istituto di Anatomia Umana di Firenze diretto da Giulio Chiarugi, dove intraprese ricerche sull’anatomia e l’istologia del sistema nervoso, nonchè sulla relazione tra crescita delle cellule e crescita corporea negli animali. Considerato nel 1907 inidoneo (!) per la cattedra di anatomia umana all’Università di Parma per scarse pubblicazioni di anatomia generale, venne chiamato a Sassari nel 1910 – come professore di anatomia umana – dove compì degli studi sul condrioma. Dopo il trasloco a Palermo (nel 1915) diede il via a ricerche pionieristiche sui tessuti coltivati in vitro. Proprio a Palermo, nonostante gli scarsissimi mezzi a sua disposizione, Levi introdusse e praticò poi sistematicamente la coltivazione in vitro dei tessuti, con cui esaminare struttura e comportamento di cellule isolate e sottoposte a variabili condizioni d'ambiente. Così s'apre la lunga e particolareggiata voce Tessuto — Biologia da Levi redatta nel 1937 per l' Enciclopedia italiana:
«Si dice coltura o coltivazione dei tessuti, o anche coltura di cellule, il procedimento tecnico destinato a conservare viventi per lungo tempo parti separate da un organismo pluricellulare in un mezzo artificiale adatto per le sue proprietà fisiche e chimiche alla conservazione delle funzioni vitali elementari e all'accrescimento della sostanza vivente ... Sebbene una coltura in vitro differisca per molti riguardi da un tessuto dell'organismo, gli attributi elementari delle cellule sono sempre gli stessi; e d'altra parte l'essere le cellule sottratte all'influenza perturbatrice del tutto, crea condizioni più favorevoli per lo studio delle loro proprietà».
La nuova tecnica era stata messa a punto dallo zoologo americano Ross G. Harrison e perfezionata in Francia da Alexis Carrel (Premio Nobel per la Medicina nel 1912), ma fu Levi a intuirne le straordinarie potenzialità e ad iniziarvi i suoi allievi. Non solo: allo studio delle cellule applicò anche il “metodo cinematografico”, eseguendo riprese accelerate con scatto di singoli fotogrammi per mezzo di un intervallatore. Fra l'altro, solo la coltura in vitro gli permise d'essere fra i primi ad occuparsi dei mitocondri, elementi cellulari la cui funzione restò a lungo oscura e controversa. E di lui su un periodico tedesco uscí, nel 1934, l'illustrazione più completa (quasi seicento pagine) di quel metodo cosí prezioso in molti campi della biologia.
Nato a Trieste, studiò medicina a Firenze, laureandosi nel 1895. Entrò quindi come assistente nella clinica psichiatrica San Salvi, dove rimase per un triennio collaborando con il neuropatologo Ernesto Lugaro. Già in questo periodo pubblicò originali ricerche sull’istofisiologia delle cellule nervose, anche se il significato dei suoi risultati sui costituenti dei neuroni e sul volume del pericario dei grandi neuroni venne compreso solo molti anni dopo. Nel 1899 trascorse un anno a Berlino con Oskar Hertwig e l’anno successivo entrò nell’Istituto di Anatomia Umana di Firenze diretto da Giulio Chiarugi, dove intraprese ricerche sull’anatomia e l’istologia del sistema nervoso, nonchè sulla relazione tra crescita delle cellule e crescita corporea negli animali. Considerato nel 1907 inidoneo (!) per la cattedra di anatomia umana all’Università di Parma per scarse pubblicazioni di anatomia generale, venne chiamato a Sassari nel 1910 – come professore di anatomia umana – dove compì degli studi sul condrioma. Dopo il trasloco a Palermo (nel 1915) diede il via a ricerche pionieristiche sui tessuti coltivati in vitro. Proprio a Palermo, nonostante gli scarsissimi mezzi a sua disposizione, Levi introdusse e praticò poi sistematicamente la coltivazione in vitro dei tessuti, con cui esaminare struttura e comportamento di cellule isolate e sottoposte a variabili condizioni d'ambiente. Così s'apre la lunga e particolareggiata voce Tessuto — Biologia da Levi redatta nel 1937 per l' Enciclopedia italiana:
«Si dice coltura o coltivazione dei tessuti, o anche coltura di cellule, il procedimento tecnico destinato a conservare viventi per lungo tempo parti separate da un organismo pluricellulare in un mezzo artificiale adatto per le sue proprietà fisiche e chimiche alla conservazione delle funzioni vitali elementari e all'accrescimento della sostanza vivente ... Sebbene una coltura in vitro differisca per molti riguardi da un tessuto dell'organismo, gli attributi elementari delle cellule sono sempre gli stessi; e d'altra parte l'essere le cellule sottratte all'influenza perturbatrice del tutto, crea condizioni più favorevoli per lo studio delle loro proprietà».
La nuova tecnica era stata messa a punto dallo zoologo americano Ross G. Harrison e perfezionata in Francia da Alexis Carrel (Premio Nobel per la Medicina nel 1912), ma fu Levi a intuirne le straordinarie potenzialità e ad iniziarvi i suoi allievi. Non solo: allo studio delle cellule applicò anche il “metodo cinematografico”, eseguendo riprese accelerate con scatto di singoli fotogrammi per mezzo di un intervallatore. Fra l'altro, solo la coltura in vitro gli permise d'essere fra i primi ad occuparsi dei mitocondri, elementi cellulari la cui funzione restò a lungo oscura e controversa. E di lui su un periodico tedesco uscí, nel 1934, l'illustrazione più completa (quasi seicento pagine) di quel metodo cosí prezioso in molti campi della biologia.
Tra i suoi allievi, si ricorda a tal proposito il prof. Emerico Luna, a cui oggi è intitolata la Sezione di Anatomia Umana dell'Università di Palermo.
Il filone di ricerca del Prof. Levi continuò anche a Torino, dove egli si trasferì nel 1919 per prendere la direzione dell’Istituto di anatomia umana dell’Università. Tra i tessuti in vitro, gli studi di Levi si focalizzarono soprattutto sui neuroni e gli assoni, analizzando anche il fenomeno della rigenerazione in seguito a microamputazione. A Torino formò numerosi ricercatori: in particolare ebbe tra i suoi studenti (iscrittisi nel 1929) i tre premi Nobel Rita Levi-Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco. Pur avendo portato l’Istituto torinese a livelli internazionali, le leggi razziali del 1938 lo considerarono “indesiderabile e pericoloso” in quanto di origine ebrea nonché oppositore del regime. Dovette dunque ritirarsi, trasferendosi prima in Belgio a Liegi e tornando poi a Torino, e fare ricerca in semi-clandestinità fino alla fine della guerra. In questo periodo di difficoltà collaborò con la sua ex studentessa Rita Levi-Montalcini nei primi esperimenti sui gangli nervosi negli embrioni di pollo. Andò ufficialmente in pensione nel 1948, membro di tutte le più importanti accademie scientifiche italiane e internazionali.
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