.comment-link {margin-left:.6em;}

The Anatomist

lunedì, novembre 28, 2005

Gli esordi degli studi anatomici a Palermo

Uno dei pionieri dell’insegnamento dell’Anatomia Umana a Palermo fu Giovanni Filippo Ingrassia, da Regalbuto (1510-1580). Protomedico del Regno di Sicilia, personaggio eminentissimo nella storia della scienza medica, compì importanti studi in particolare riguardo l’osteologia e l’udito.


Questa immagine mostra una tavola tratta dal suo testo “In Galeni librum de ossibus doctissima et expectatissima commentaria”, opera pubblicata postuma a cura dello studioso Matteo Donia.

Quest’altra tavola mostra una illustrazione del libro “Trattato assai bello et utile dei doi mostri nati in Palermo in diversi tempi”, a cura di Giovanni Matteo Mayda, 1560. Il valore di quest’opera consiste nella riproduzione di due gemelli siamesi, una delle più antiche rappresentazioni antiche di questo tipo di parti di gemelli siamesi. Queste opere fanno parte dei tesori della biblioteca centrale regionale siciliana, che li custodisce.
Fin da giovane, l’Ingrassia intraprese la via del sapere e studiò a Palermo e a Padova laureandosi in medicina nel1537. In un primo periodo (1544) fu chiamato ad insegnare all'Università di Napoli dove esercitò la sua attività di medico, ottenendo grandissimi successi. Nel 1546 attraverso un'accurata ricerca sull'anatomia umana Gian Filippo scoprì un ossicino all'interno dell'orecchio che egli stesso chiamò "staffa" o "deltoide" che permise una più idonea comprensione dello stimolo acustico. Fece anche delle accurate ricerche sulle vescichette seminali che fecero capire meglio il loro funzionamento. Ritornò in Sicilia dove fu eletto dal senato "lettore ordinario di medicina" e dal re Filippo II nel 1563 protomedico del Regno di Sicilia. Fondò la medicina pubblica quella legale e la polizia sanitaria. Grazia al suo intervento furono presi provvedimenti sulla sanità pubblica e sull'iqiene di Palermo. Tra il 1575 e il 1576 scoppiò in Sicilia un'epidemia di peste; il viceré Don Carlo convocò l'ormai vecchio ed ammalato Gian Filippo Ingrassia e gli diede la carica di deputato per il tempo della peste e di consultore sanitario. Egli fu molto generoso nel dare cura e soccorso agli ammalati. Scrisse un libro che intitolò "Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo" che conteneva le sue riflessioni su questa esperienza. Questo libro, pur essendo inferiore ad altri suoi scritti rimane il suo capolavoro. Inoltre, nel 1553, l’Ingrassia fornisce la prima descrizione della scarlattina come malattia epidemica. Ingrassia si riteneva un uomo "servo" della patria e fu per questo che rifiutò lo stipendio che gli spettava ogni mese. Morì il 6 novembre 1580. In suo onore il paese di Regalbuto ha intitolato una delle vie principali la scuola elementare e la scuola media. A Catania a questo famoso personaggio e stato intestato l'Istituto di Anatomia.
Uno dei suoi allievi, Marco Aurelio Severino, lavorerà a napoli, ove diffonderà le recenti teorie di William Harvey sulla circolazione.
Riportiamo dal sito della Facoltà Medica Palermitana questa breve biografia:

... il primo vero maestro di medicina di cui si hanno ampie e certe notizie storiche, dotato di un profilo assimilabile a quello del docente universitario, comincia ad operare a Palermo quasi tre secoli più tardi, nel 1553, anno in cui nello Studio pubblico generale, istituito già nel 1498 nel chiostro di S. Domenico, viene chiamato in qualità di lettore di medicina Giovanni Filippo Ingrassia da Regalbuto (1510-1580). Questi, laureato nell'Università di Padova, ove era stato discepolo del sommo Vesalio e di Falloppio, aveva insegnato presso l'Università di Napoli ove aveva acquisito solida fama di eccellente medico e docente, tanto da meritare l'eposizione in quell'ateneo della sua effigie con l'iscrizione Philippo Ingrassiae Siculo qui veram medicinae artem atque anatonem enarrando Neapoli restituit discipuli memoriae causa P.P.M.D. Durante il soggiorno napoletano Ingrassia ave­va scoperto all'interno dell'orecchio un elemento ossiculare fino ad allora sconosciuto cui diede il nome di staffa. A Palermo Ingrassia, chiamato dal Comune per volontà del vicerè Giovanni de Vega, tenne un corso triennale teorico-pratico fondato sulle opere di Ippocrate, Galeno, Avicenna, Razis. Purtroppo le importanti cariche pubbliche che gli furono in seguito conferite, e che onorò ai massimi livelli, lo distolsero presto dall'insegnamento. Fu infatti nominato Protomedico del regno nel 1563 e Consultore e Deputato per il tempo della peste nel 1575.
Alla sua morte il Consiglio Civico pubblicò postuma in suo onore l'opera In Galeni librum de ossibus doctissima et expectatissima commentaria. Alla sua memoria, in tempi molto più recenti (seconda metà dell'800) fu intitolata la sala donne della Clinica Medica nell'Ospedale della Concezione.
I successori di Ingrassia non sono altrettanto famosi, comunque è certo che l'insegnamento della medicina continuò anche senza caratteristiche specifiche di corso universitario, e a tal fine nel 1621 veniva costituita nello Spedale Grande l'Accade­mia di Anatomia fondata, con il favore del viceré Francesco di Lemos conte di Castro, da Baldas­sarre Grassia (o Garcia), uno dei più valenti medici dell'epoca. Il Grassia istituì nello Spedale una cattedra di anatomia e chirurgia assegnando venticinque scudi annui quale emolumento per il lettore. Alla sua morte, nel 1623, gli succedette il medico Giacomo Vetra­no, ma dopo qualche anno l'attività dell' accademia si spense. Non ne andò però perduta la memoria, tanto che su quell'esempio veniva istituita nel 1645, nella Casa di S. Ninfa dei padri Crociferi, l'Accademia dei Jatrofisici e di Medicina. ...

Il Timo

Il timo è un organo linfoide che si trova nel mediastino anteriore. È costituito da due lobi avvolti da una capsula di tessuto connettivo lasso che si approfonda nel parenchima dell'organo, suddividendolo in lobuli. In sezione, ciascun lobulo timico appare costituito da una zona più esterna (corticale) e una più interna (midollare).
All'osservazione istologica, la prima appare più scura, perché costituita prevalentemente da linfociti T, che sono dispersi in uno stroma ben organizzato, la cui principale cellule di sostegno è una cellula epiteliale. Questa si dispone attorno ai capillari e, con i suoi prolungamenti, crea un reticolo tridimensionale dentro cui sono accolti i precursori linfocitari in via di maturazione. Essendo interposte tra i capillari ematici e i linfociti in via di maturazione, queste cellule epiteliali finiscono per formare una sorta di barriera "emato-timica". Le cellule epiteliali, infatti, non hanno solo una funzione di supporto, ma stimolano la maturazione dei linfociti T anche attraverso la produzione di molecole ad azione paracrina. Prova ne è anche il fatto che questi epiteliociti sono una popolazione morfologicamente omogenea ma antigenicamente eterogenea e ne sono già stati identificati sei tipi differenti, con caratteristiche immunoistochimiche peculiari, a cui corrisponderebbero funzioni differenti, anche se non del tutto chiare. Nella corticale, tra le maglie del reticolo epiteliale, si trovano quindi i precursori dei linfociti T, migrati qui dal midollo osseo, che proliferano e si differenziano. Questo differenziamento consiste nell'acquisizione dei linfociti della capacità di riconoscere gli antigeni estranei e di innescare la reazione immunitaria; di converso, tutti quei linfociti potenzialmente in grado di riconoscere come estranei anche gli antigeni propri del soggetto (self), vengono indotti al suicidio (apoptosi).
La corticale presenta due zone, seppur non sempre ben distinguibili; una più esterna e una più interna, a contatto con la midollare. La maturazione linfocitaria sembra procedere dalla zona più esterna a quella più interna e alla fine i linfociti maturi vengono riversati nei vasi della midollare e quindi possono andare in circolo a svolgere la loro funzione. La midollare del timo è ricca di cellule neuroendocrine, ma non è chiaro se la loro funzione è relata alla differenziazione linfocitaria o meno. Il timo cresce nei primi mesi di vita extrauterina, per poi cessare di svilupparsi e, nell'età adulta, andare incontro a sostituzione adiposa; questa è continua e costante e può interessare fino al 90-95% dell'organo, rendendone così difficile, in età avanzata, l'identificazione e l'isolamento dal tessuto adiposo mediastinico circostante. La componente epiteliale assume un aspetto caratteristico durante l'involuzione dell'organo, poichè da luogo a tipiche formazioni (corpuscoli timici o di Hassal) che sono evidenziabili nella sostanza midollare, costituiti da cellule epiteliali disposte concentricamente che presentano segni di trasformazione cornea.

martedì, novembre 01, 2005

La milza

Al di sotto del rivestimento peritoneale, la milza possiede una spessa capsula costituita da due strati di fibre collagene ed elastiche a differente orientamento. Dallo strato più interno partono delle trabecole connettivali che si approfondano nel parenchima splenico, formando una rete strutturale di supporto. Il parenchima della milza viene suddiviso in due componenti: la polpa bianca e la polpa rossa, con caratteristiche morfofunzionali differenti.
La polpa bianca rappresenta circa il 25% del peso totale dell'organo ed è costituita da piccoli aggregati linfoidi )corpuscoli del Malpighi), delle dimensione variabili da un decimo di millimetro a un millimetro, attraversati da un piccolo ramo arterioso di derivazione dalla arteria splenica (arteriola pulpare), da cui si originano piccoli capillari che prendono il nome di penicilli; gli aggregati linfoidi sono costituiti da linfociti B e T, in grado di riconoscere e processare gli antigeni, trasformandosi in centri germinativi e innescando la risposta immunitaria. Una milza, mediamente, pesa 160 gr, quindi il peso della polpa bianca deve ritenersi di circa 40 grammi. Poiché un linfonodo non iperplastico pesa un decimo di grammo, presto si calcola che il tessuto linfatico presente nella milza è pari a quello di 400 linfonodi. In seguito a splenectomia totale, il bambino avrà una rallentata risposta immunitaria per tutta la vita; ciò ha fatto immaginare che la milza probabilmente produce fattori che nel midollo e nel timo stimolano la maturazione delle cellule immunitarie, almeno nei primi anni di vita; nell'adulto, invece, la splenectomia è seguita da una leucocitosi, probabilmente compensativa.
La polpa rossa possiede una complessa architettura, le cui componenti principali sono i cordoni splenici, i capillari splenici e i seni venosi. I primi possono essere raffigurati come un reticolo le cui maglie sono costituite da fibre collagene, fibroblasti di forma stellata e macrofagi. Tra le maglie di questo reticolo scorrono i capillari splenici e i seni venosi; entrambi hanno una morfologia sinusoidale, ma si differenziano perché i secondi sono più ampi dei primi. I capillari splenici derivano dalla arteriola pulpare; il sangue scorre dapprima nei capillari splenici e quindi nei seni venosi, che confluiscono nelle vene che formeranno la vena lienale. Non tutti i capillari splenici, però, si continuano direttamente con i seni venosi; alcuni, infatti, terminano a fondo cieco. Il sangue che qui termina deve migrare dapprima tra le maglie dei cordoni e quindi nei seni venosi; durante questo percorso, gli eritrociti vecchi o danneggiati vengono eliminati dai macrofagi. Dal catabolismo dell'emoglobina si ottiene bilirubina e aminoacidi che raggiungeranno direttamente il fegato attraverso la vena porta, la prima per essere eliminata, i secondi per essere prontamente riutilizzabili.

In questo disegno vengono mostrati: 1) arteria trabecolare, da cui si originano dei rami (4: arterie pulpari) che penetrano nei corpuscoli del Malpighi (5). L'arteriola che attraversa quest'ultimo (arteriola centrale del nodulo) si continua nei penicilli arteriosi, piccole arteriole terminali precapillari non anastomizzate tra loro, fornite di un manicotto (ispessimento cellulare) probabilmente con funzione sfinteriale. Da queste si originano i capillari della polpa rossa (6) da cui il sangue può fuoriuscire in microlacune interstiziali (8) e/o incanalarsi nei seni venosi (7), alcuni dei quali sono forniti di un rivestimento istiocitario (7'), con proprietà granulopessiche. Ai seni venosi fanno seguito le vene pulpari, che convergono verso le vene trabecolari.

Repetita iuvant.
Volendo ricapitolare la circolazione splenica, essa può svolgersi in due modi: l'arteria lienale si suddivide, nell'ilo dell'organo, in rami arteriosi sempre più piccoli (arterie trabecolari); le arteriole pulpari che da essi derivano attraversano gli aggregati linfoidi (noduli di Malpighi) e quindi danno origine ai penicilli; in questo passaggio per i noduli può avvenire il riconoscimento degli antigeni e l'innesco della reazione immunitaria. Le arterie penicillari danno origine ai capillari splenici che decorrono nelle maglie dei cordoni della polpa rossa; la maggior parte di questi, riversa il sangue nei seni venosi (circolazione “chiusa”). Una piccola parte di questi capillari (circa il 3-5%), invece, termina a fondo cieco: gli eritrociti, per raggiungere i seni venosi, devono uscire dai capillari splenici, attraversare le maglie del reticolo (microlacune interstiziali) e rientrare nei seni venosi (circolazione “aperta”). Durante quest'ultima fase può avvenire l'eliminazione degli eritrociti vecchi o danneggiati (emocateresi).

Questa microfotografia mostra un corpuscolo di Malpighi (polpa bianca), circondato da parenchima di polpa rossa.

La ricca e complessa vascolarizzazione della milza umana ha lasciato supporre che, analogamente a quanto descritto in altri mammiferi come il cane, il gatto, il cavallo, essa potesse avere funzione di riserva di sangue (milza di deposito). Questo è stato smentito dal fatto che le trabecole della milza umana, a differenza da quelle degli altri mammiferi, sono prive di fibrocellule muscolari lisce che, innervate dal sistema nervoso autonomo, possono all'occorrenza contrarsi e spremere nella circolazione generale la quota di sangue in essa contenuta.

Nel punto in cui le arteriole penicillari danno origine ai capillari splenici, inoltre, vi è una ricca quota di macrofagi, a formare una sorta di guaina tra la polpa bianca e la polpa rossa; questa regione prende il nome di zona marginale e si pensa possa avere un modesto ruolo sia immunitario che emocateretico.

In seguito a splenectomia parziale, la milza, analogamente ad altri organi parenchimatosi, come il fegato e il pancreas, può rigenerare, segno che, anche nel suo parenchima, probabilmente si trovano cellule staminali e/o germinali che, opportunamente stimolate, possono proliferare e differenziarsi nel tessuto maturo.

Segnaliamo infine che nella milza, come nel timo, mancano vasi linfatici afferenti, essendo questi organi provvisti soltanto di una rete linfatica efferente dall'organo e drenante nei linfonodi locoregionali.